1 Tessalonicesi 5:9s [seconda parte]

Torniamo ora a 1 Tessalonicesi 5:9s. Questo passo è di una così confortante certezza, che lo stesso apostolo lo propone per una consolazione vicendevole: v. 11. Tuttavia sarebbe stato strano se Satana non avesse tentato nulla contro un passo di così dolci e sicure speranze, egli che è “l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusa notte e giorno dinanzi al nostro Dio” – Apocalisse 12:10. Infatti, al contrario del Signore Gesù, la cui missione principe è quella di difendere i suoi dalle accuse, giuste che siano non importa – cfr. Romani 8:33s; 1 Giovanni 2:1, la prima prerogativa del Diavolo, il cui significato etimologico è calunniatore, si sappia, non è quella di tentare, bensì di accusare i giustificati del Signore, per indurli alla disperazione di Giuda. Così, proprio lo stesso spirito che abitò nell’Iscariota ha spinto coloro che, approfittando dell’ignoranza di molti fedeli riguardo alla lingua greca, hanno proposto una malfidata interpretazione di questo passo, togliendo ad esso ogni valore di grazia e di certezza per la salvezza dell’anima. Costoro sostengono che il vegliare ed il dormire di questa Scrittura significhino il vivere ed il morire del corpo, così che la consolazione che questo passo apporterebbe sarebbe derivata dalla speranza cristiana dell’aldilà. In altre parole, l’apostolo avrebbe qui insegnato che, vivi o morti, le nostre anime sono con il Signore. Soprattutto questa interpretazione è stata adottata dai papisti sedicenti Cattolici, da sempre in maggioranza nemici della salvifica dottrina della giustificazione per grazia. Infatti, nella nota in calce a 1 Tessalonicesi 5:10, della Nuovissima Versione dai Testi originali, Ed. Paoline 1991, così si legge: “Sia che vegliamo, sia che ci addormentiamo significano: sia che viviamo, sia che siamo morti. Si esprime qui la certezza fondamentale dell’esistenza cristiana: quella cioè di partecipare alla vita di Cristo sia nel tempo dell’esistenza terrena, sia dopo la morte”. Dello stesso parere è La Bibbia di Gerusalemme, pure papista. A sostegno di questa interpretazione viene utilizzata la stessa lettera, in 4:13ss, dove è annunciata la speranza della resurrezione per i fedeli “che si sono addormentati”, ossia i santi morti. Dunque Paolo, in 5:10, avrebbe semplicemente ripreso il concetto di sonno, quale metafora della morte, espresso già nel capitolo precedente. Anche altrove invero, nel Nuovo Testamento, la morte è presentata con la stessa metafora, cosicché ci vedremmo quasi costretti ad accettare l’interpretazione testé proposta, se non vi fossero a toglierle forza quattro argomenti, di cui gli ultimi due, i più stringenti, ma nascosti allo sguardo del comune lettore, sono da sé soli sufficienti a far crollare la diabolica impalcatura, costruita ad arte contro la retta spiegazione di questo passo.

Il primo colpo demolitore è dato dal contesto: Paolo non sta discutendo della vita e della morte, ma del peccato e della vigilanza, pertanto, nel passo in questione, esordisce con queste parole: “Dio infatti non ci ha destinati a ira, ma ad ottenere salvezza”. Una frase del genere avrebbe poca pertinenza con quanto segue, se a seguire fosse una dichiarazione di sopravvivenza dell’anima. Al contrario, vi si ravvisa una perfetta attinenza se, a completare il discorso, sono intese la sonnolenza e la veglia spirituali, rispettivamente causa d’ira e di salvezza nella visione meritocratica della Legge.

Il secondo colpo è dato dall’evidenza che la vita dell’anima nell’aldilà non viene mai posta da Paolo come “la certezza fondamentale della fede cristiana”. Sebbene altrove l’apostolo insegni la sopravvivenza dell’anima – 2 Corinzi 5:1-10 – questa sempre cede il posto alla speranza della resurrezione. Così, quando nella stessa lettera ai Tessalonicesi scrive della sorte dei fedeli defunti, cercando parole di consolazione per coloro che sono nel lutto, non accenna affatto alla dottrina della sopravvivenza. E’ dunque improbabile che Paolo, dimentico dell’anima in 4:13ss, dove la pertinenza era assoluta, se ne ricordi in 5:10, quando l’argomento è ormai del tutto nuovo ed estraneo. D’altronde la sua mira è quella “non già di essere spogliati [del corpo], ma di essere rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita”– 2 Corinzi 5:4.

Quanto è stato detto finora destabilizza certamente la cattiva interpretazione, tuttavia non le inferisce un colpo risolutivo. Sarà necessario volgere lo sguardo al testo originale per dare al busillis una soluzione certa e definitiva. Se si esclude la terribile Traduzione Interconfessionale, LDC-ABU, in cui il pensiero dei traduttori ha avuto il sopravvento su quello di Dio, tutte le versioni del Nuovo Testamento in italiano rendono il nostro passo in maniera assolutamente ineccepibile, pur tutte traendo il lettore in un inganno involontario. Mi riferisco ad uno dei verbi in questione: dormire. Abbiamo già detto come, nelle epistole di Paolo, questo verbo si riferisca il più delle volte alla morte del corpo. In questo senso viene pure usato altrove nelle Scritture greche. Eppure noi sosteniamo che in 1 Tessalonicesi 5:10 non possa assolutamente assumere questo significato. Perché? Nella lingua greca in cui gli autori neotestamentari scrivevano, i verbi utilizzati per indicare la conseguenza del sonno erano almeno due: koim£w [koimao] e kaqeÚdw [katheudo]. Ora solo il primo, esclusivamente koim£w [koimao], fu utilizzato da Paolo e dagli altri scrittori neotestamentari quale eufemismo per morire! Invece il secondo, lo stesso che ritroviamo coniugato in 1 Tessalonicesi 5:10, non assunse mai per costoro un tale significato, se non in relazione alla sola morte spirituale: Efesini 5:14. Vediamolo insieme. Ecco i diciotto passi del Nuovo Testamento in cui compaiono forme del verbo koim£w [koimao]: Matteo 27:52; Matteo 28:13; Luca 22:45; Giovanni 11:11; Giovanni 11:12; Atti 7:60; Atti 12:6; Atti 13:36; 1 Corinzi 7:39; 1 Corinzi 11:30; 1 Corinzi 15:6; 1 Corinzi 15:18; 1 Corinzi 15:20; 1 Corinzi 15:51; 1 Tessalonicesi 4:13; 1 Tessalonicesi 4:14; 1 Tessalonicesi 4:15; 2 Pietro 3:4. I passi sottolineati sono quelli in cui koim£w [koimao] ha il significato di morire. Si noti come Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, usi dormire come metafora della morte fisica per ben sei volte, coniugando sempre koim£w [koimao] e mai kaqeÚdw [katheudo]. Persino al quarto capitolo della lettera ai Tessalonicesi in argomento, utilizza lo stesso eufemismo per ben tre volte consecutive, ma sempre e solo coniugando koim£w [koimao]. Come può dunque essere ammissibile che solo in 1 Tessalonicesi 5:10 coniughi kaqeÚdw [katheudo] per indicare la morte fisica? Ecco ora i venti passi e le ventidue volte in cui forme del verbo kaqeÚdw [katheudo] compaiono nel Nuovo Testamento: Matteo 8:24; Matteo 9:24; Matteo 13:25; Matteo 25:5; Matteo 26:40; Matteo 26:43; Matteo 26:45; Marco 4:27; Marco 4:38; Marco 5:39; Marco 13:36; Marco 14:37 = due volte; Marco 14:40; Marco 14:41; Luca 8:52; Luca 22:46; Efesini 5:14; 1 Tessalonicesi 5:6; 1 Tessalonicesi 5:7 = due volte; 1 Tessalonicesi 5:10. Si noti bene che nel passaggio che precede immediatamente il passo in discussione, passaggio in cui è trattato l’argomento del sonno morale, Paolo usa per ben tre volte in due passi consecutivi le coniugazioni di kaqeÚdw [katheudo]. Persino un bambino, con tali evidenze, giungerebbe alla conclusione che in 1 Tessalonicesi 5:10 Paolo utilizza il congiuntivo di kaqeÚdw [katheudo] per riferirsi non al dormire della morte fisica del capitolo precedente, in cui ha usato un verbo differente, ma al dormire spirituale di cui ha appena discusso e in cui ha usato lo stesso verbo! D'altronde, non senza motivo il Signore ha ammonito dicendo: “In verità vi dico che chiunque non avrà ricevuto il Regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto!” – Marco 10:15. Infatti, il pregiudizio contro la retta interpretazione di questo passo è talmente forte che persino nel celeberrimo Vocabolario Greco-Italiano di L. Rocci, alla voce kaqeÚdw [katheudo], il Nuovo Testamento si trova citato quale fonte per il significato di morire. Vero è che in Matteo 9:24p la bimba era realmente morta, ma il suo rapido risveglio poneva il suo decesso in una condizione tale da potersi assimilare al sonno naturale: non è infatti lo stesso Signore a distinguere e contrapporre quell’indicativo di kaqeÚdw [katheudo] alla morte fisica, dicendo: “Non è morta, ma dorme [katheudei]”?

Rimane ora da considerare l’ultimo elemento: quello della veglia. Il verbo grhgoršw [gregoreo], il cui congiuntivo del nostro passo è tradotto “vegliamo”, mai sta a significare, in tutto il Nuovo Testamento, l’azione di vivere. Persino Paolo, in 1 Tessalonicesi 4:15.17, nonostante abbia appena definito i morti come “coloro che si sono addormentati”, non lo utilizza per indicare i viventi, chiamati semplicemente zîntej [zontes]. Anche il Rocci, op. cit., non contempla tale significato per alcuna opera. Come è possibile allora che, in tutta la letteratura greca, solo il passo in questione abbia per grhgoršw [gregoreo] il significato di esser vivi, nonostante questo stesso verbo venga usato immediatamente prima – 1 Tessalonicesi 5:6 - per indicare la veglia spirituale? E’ meraviglioso osservare quanta accortezza lo Spirito Santo ha posto nella scelta di tali verbi, perché fossero facilmente e immediatamente compresi dai suoi cari figli di Tessalonica e da noi, che ricerchiamo con attenta solerzia la sua Parola.

Ti è chiaro dunque, amico o amica, l’inganno del Calunniatore e dei suoi ministri? E ti è chiara, cosa ancor più importante e necessaria, la Buona Notizia che nessun vizio e nessuna colpa, per quanto gravi e resistenti, potranno mai separarti dal tenero amore di Dio, se credi in Colui che Egli ha dato per la nostra salvezza?

“Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me.

Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l'uomo interiore,

ma vedo un'altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra.

Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?

Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore.

Così dunque, io con la mente servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato.

Non c'è dunque più nessuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù!”

Romani 7:21ss.8:1

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