Quale fede è inferiore all’amore?

Nell'epistolario paolino, 1 Corinzi 13 è interamente costituito dal celeberrimo inno all’amore, in cui l'apostolo descrive la terza delle cosiddette virtù teologali come superiore ad ogni dono ed eccellente su ogni virtù, terminando con queste parole: “Ora queste tre cose durano: fede, speranza, amore, ma di esse la più grande è l’amore” – 1 Corinzi 13:13. Questo passo è il più citato per sottovalutare la fede a vantaggio dell'amore, che diviene così la causa primaria della nostra salvezza, complementare, se non addirittura alternativo, alla fede. Se per amore qui si intendesse quello di Dio, ovviamente il verso citato non verrebbe a creare alcuna difficoltà, essendo la carità divina la fonte naturale di ogni grazia, soprattutto di quella salvifica. Il contrasto con il Vangelo della giustificazione per la sola fede verrebbe però a crearsi se l’apostolo, scrivendo quelle parole, avesse inteso non l'amore di Dio per il mondo, ma quello del credente verso il prossimo. E poiché molti, sulla base dei primi versi del carme paolino, ritengono proprio questo, forse non a torto, sebbene penso che non sia del tutto improbabile un conclusivo accenno all’amore divino come esemplare, sorge il dilemma di come possa conciliarsi la superiorità dell’amore fraterno con la dottrina della salvezza senza opere. Può l’amore per il prossimo essere inoperoso? Dovendo rispondere di no, e non potendo escludere che si tratti proprio di quell'amore, dovremo ricercare una spiegazione e quale posto migliore per trovarne una, se non il contesto in cui l'inno fu scritto? Così vediamo innanzitutto che, nel capitolo che precede, come pure in quello che segue, Paolo sta discutendo dei doni spirituali – 1 Corinzi 12:1. Questi carismi possono essere di natura prodigiosa, come la profezia, le lingue o la guarigione, oppure ordinaria, come la capacità di evangelizzare o di insegnare. Sopra tutti questi doni, sta l’amore: 1 Corinzi 12:31; 14:1. Ora Paolo ricorda ai Corinzi che un credente non riceve tutti i doni, ma solo uno o alcuni: 1 Corinzi 12:28-30. Tra questi, Paolo elenca anche la fede – 1 Corinzi 12:9. La parola greca che sottende a 1 Corinzi 12:9 e a 13:13 è sempre la stessa - p…stij [pistis] - e il contesto dei tre capitoli, vertendo sui carismi, ci obbliga a ritenere che l’apostolo stia parlando in entrambi i casi della stessa cosa: un carisma di pochi. A uno infatti è data, per mezzo dello Spirito, parola di sapienza; a un altro, secondo il medesimo Spirito, parola di conoscenza; a un altro fede, dal medesimo Spirito – 1 Corinzi 12:8s. Se si ritiene che qui, come nel contestuale inno all’amore, si debba intendere la salvifica fede evangelica, se ne dovrebbe dedurne che non ogni credente possiede questa fede. Tuttavia come potrebbe uno credere senza la fede? Poiché la fede che rende credenti e salvi non può essere appannaggio di pochi nella Chiesa, dobbiamo esser persuasi che la fede di 1 Corinzi 12:9 e 13:13 debba intendersi necessariamente in altro modo. Il fatto che nelle Scritture la p…stij [pistis] non possieda sempre lo stesso significato è chiaro, oltre che da quanto appena detto, anche da Romani 3:3, dove si parla della p…stij [pistis] di Dio. E’ ovvio che Dio non possiede fede in se stesso, essendo la fede “certezza di cose che si sperano e dimostrazione di cose che non si vedono” - Ebrei 11:1, perciò tutte le versioni rendono quel p…stij [pistis] con fedeltà, parola ragionevolmente adeguata al contesto. Anche in Galati 5:22 lo stesso termine greco viene reso in alcune versioni – Nuova Riveduta e C.E.I. - allo stesso modo. Ritengo si debba tradurlo in questa maniera anche in 1 Timoteo 6:11 e 2 Timoteo 2:22, dato che certamente il giovane presbitero possedeva già la vera fede, da non doverla più ricercare: ciò che gli era utile perseguire era la fedeltà, insieme all’amore. Questi riferimenti ci sono utili per comprendere che p…stij [pistis] non indica giocoforza la fede che salva e che pertanto, anche in 1 Corinzi 13:13, può e deve intendersi in altra maniera, altrimenti contraddicendo l’intero insegnamento paolino. Tuttavia è possibile che lì e in 1 Corinzi 12:9 non si tratti di fedeltà, dato che p…stij [pistis] può identificarsi anche con l’insegnamento cristiano - 1 Timoteo 5:8; 6:13 - oppure, come in buona parte dei racconti evangelici, con la profonda fiducia nella potenza di Dio - Matteo 8:10p. Questo sentimento infatti, non certamente la fede salvifica, la dottrina o la fedeltà, Gesù intende incoraggiare nell’esporre il suo insegnamento sulla fede che sposta le montagne: Marco 11:22-24. Questa fiducia gli apostoli chiedono di avere aumentata: Luca 17:5s. Essa, capace anche di prodigi, avvantaggia chi la possiede nel raggiungimento della fede nel Vangelo – Matteo 8:10s – tuttavia non si identifica ipso facto con quella fede, dato che si può credere nella potenza del Signore e compiere miracoli, eppure non essere salvati: Matteo 7:22s. Perciò Gesù ammonisce: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede in me” – Giovanni 14:1 – così accostando e nondimeno distinguendo le due fedi. Ora, nell’inno dell’amore, la fede di cui si parla sembra essere proprio questa: “Se avessi tutta la fede in modo da spostare le montagne, ma non avessi l’amore, sarei un nulla” – 1 corinzi 13:2. Questa dunque la fede inferiore all’amore, questo il carisma dello Spirito Santo per pochi! La Scrittura non si contraddice: “la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede”, non da amore a fede o da fede in carità, “perché il giusto per fede vivrà!” – Romani 1:17. Sola fide: Galati 2:16.
Lo stesso discorso deve ora farsi per la speranza: vi è una speranza che si identifica con la fede ed è a salvezza – 1 Giovanni 3:3 – e un’altra speranza, che invece è la virtù che le afflizioni cristiane producono, mediante la pazienza e l’esperienza: Romani 5:3s. E’ chiaro che questa seconda speranza non può identificarsi con la fede, dato che ovviamente segue e mai precede le persecuzioni per il Vangelo. Proprio questa virtù è la speranza di 1 Corinzi 13:13, virtù superiore a ogni dono, ma inferiore all’amore. Questa lettura di 1 Corinzi 13:13 è sostenuta anche dal fatto che, immediatamente prima, l’apostolo aveva scritto che l’amore “tutto crede e tutto spera” – v.7. Qui il riferimento, come si deduce anche dal resto del verso, non è ovviamente al Vangelo, non potendo la fede e la speranza evangeliche derivare dal nostro amore, essendo l’iniziativa esclusiva di Dio: “Noi amiamo perché Dio ci ha amati per primo” – 1 Giovanni 4:19; cfr. Romani 5:10; Efesini 2:8. Infine, il supposto parallelismo tra 1 Corinzi 13:13 e 1 Tessalonicesi 1:3 e 5:8, dove l’amore è accostato alla fede e alla speranza a salvezza, ritengo si debba considerare molto dubbio. In Paolo ricorrono numerosissime volte parole quali fede, grazia, pazienza, gioia, pace, speranza, amore, ecc. associate tra loro in vario modo. L’accostamento dell’amore con la fede e la speranza nella prima epistola ai Tessalonicesi potrebbe non avere alcuna relazione con la triade dell’inno all’amore. Tanto più che in 1 Tessalonicesi 1:3 sembra si parli non dell'amore per il prossimo, ma di quello verso Dio: nel greco, “il Signore nostro Gesù Cristo”, in genitivo e senza preposizioni, è chiaramente l’oggetto sia della fede, che dell’amore e della speranza. Di conseguenza lo stesso potrebbe darsi per 5:8. L'amore per il Signore, e solo quello, al pari della fede in Lui, è imprescindibile dalla salvezza: Se qualcuno non ama il Signore sia anatema!” – 1 Corinzi 16:22. Invero anche l'amore per il Signore può essere operoso, tuttavia Paolo lo intende coerentemente solo come moto interiore, al pari della fede: infatti in Romani 13:8-10 l'apostolo indicherà come adempimento di ogni comandamento l'amore per il prossimo, ma non l'amore verso Dio. Già Gesù aveva detto la stessa cosa: Matteo 7:12. Vero è che il discepolo prediletto scriverà: "Se uno dice: Io amo Dio, ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che vede, non può amare Dio che non vede" - 1 Giovanni 4:20, ma successivamente vedremo la ragione di questo avviso. Ribadisco dunque che Paolo, l'apostolo di Dio per le nazioni, non si contraddice: la fede nel suo Vangelo è superiore a qualunque dono o virtù teologale, inferiore soltanto all'amore di Colui che ce l'ha donata. Infatti, se qualcuno non vorrà in alcun modo accettare un differente significato per la parola fede, allora con coerenza non dovrà accettarlo per la parola amore. Ora nelle Scritture abbiamo, come già per la fede – Ebrei 11:1, la definizione dell’amore: “In questo è l'amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati” – 1 Giovanni 4:10. Se dunque in 1 Corinzi 13:13 la fede sarà la stessa che salva, l’amore sarà lo stesso descritto da Giovanni: l’amore che Dio ha per noi e che fu manifestato sulla croce. Non le nostre opere, ma l’Opera di Dio in Cristo. Questo amore certamente precede la fede e supera ogni speranza: “Noi abbiamo conosciuto l'amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto. Dio è amore! – 1 Giovanni 4:16.

Stai dunque attento a come le Scritture ti vengono citate, memore del fatto che anche Satana ne abusò per tentare il Figlio di Dio: Matteo 4:6p. Non permettere che ti venga menzionato un verso fuori dal suo contesto o al di là dello scopo per cui è stato scritto. Così, anche in 1 Giovanni 3:14s abbiamo un esempio di Scrittura spesso citata a sproposito, poiché anche qui sembrerebbe insegnato che l’amore superi la fede. Invero buona parte della lettera pare consolidare questa interpretazione, e potremmo essere ingannati, se non fosse che l’apostolo ha già posto una premessa all’inizio del suo breve scritto: “Vi scrivo queste cose affinché non pecchiate” – 1 Giovanni 2:1. Ecco dunque lo scopo: limitare il peccato! Si noti la differenza con la conclusione del suo Vangelo: Queste cose sono state scritte, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e affinché, credendo, abbiate la vita nel suo Nome – Giovanni 20:31. Qui dunque uno scopo fondamentale: “affinché abbiate la vita”. Come? Credendo. Lì uno scopo pastorale: “affinché non pecchiate”. Come? Amando. E perché l’apostolo prediletto sia ancora più certo che, nonostante le sue minacce, il credente non dubiti della propria salvezza, immediatamente aggiunge alla premessa una promessa: “Ma se qualcuno pecca, noi abbiamo un Avvocato davanti al Padre: Gesù Cristo il Giusto. Egli è il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” – 1 Giovanni 2:1s. In questo senso squisitamente pastorale si dovrà pertanto interpretare anche quel passo citato prima: Se uno dice: Io amo Dio, ma odia il proprio fratello, è bugiardo; chi non ama infatti il proprio fratello che vede, come può amare Dio che non vede?” – 1 Giovanni 4:20. Ecco perché, a prescindere dal risultato dei suoi ammonimenti, in conclusione alla sua breve epistola scriverà: “Vi ho scritto queste cose perché sappiate che avete la vita eterna, voi che credete nel Nome del Figlio di Dio” – 1 Giovanni 5:13 !

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