Fai di tutto per essere felice!

"Va' serenamente in mezzo al rumore e alla fretta del mondo, ma ricorda quanta pace ci può essere nel silenzio. Finché è possibile, senza sottometterti, conserva i buoni rapporti con tutti. Dì la tua verità con calma e chiarezza, ascolta gli altri, anche il noioso e l'ignorante, anch'essi hanno una loro storia da raccontare.
Evita le persone prepotenti ed aggressive, sono un tormento per lo spirito. Se ti paragonerai agli altri, potrai diventare vanitoso o invidioso, perché ci saranno sempre persone superiori o inferiori a te. Gioisci per i tuoi risultati, così pure per i tuoi progetti. Mantieni interesse per il tuo lavoro, per quanto umile: è un vero tesoro nelle vicende mutevoli del tempo. Sii prudente e vigile nelle tue relazioni d'affari, perché il mondo è pieno di inganno. Ma questo non ti impedisca di vedere quanto c'è di buono: molte persone lottano per alti ideali e dappertutto la vita è piena di eroismo.
Sii te stesso! Soprattutto non fingere di amare e non essere cinico riguardo all'amore, perché, a dispetto di ogni aridità e disillusione, esso è perenne come l'erba. Accetta di buon grado l'insegnamento degli anni, abbandonando riconoscente le cose della giovinezza. Coltiva la forza d'animo per difenderti dall'improvvisa sventura, ma non angosciarti per le preoccupazioni! Molte paure nascono dalla stanchezza e dalla solitudine. Al di là di una saggia disciplina, sii gentile con te stesso.
Tu sei figlio dell'universo, non meno degli alberi e delle stelle: hai il diritto di essere qui! E che ti sia chiaro o no, non dubitare del fatto che l'universo ti si stia svelando dinanzi. Perciò, cerca la pace con Dio, in qualsiasi modo tu Lo voglia immaginare e qualunque siano i tuoi travagli e le tue aspirazioni. Nella rumorosa confusione della vita, conserva la pace con la tua anima. Nonostante tutta la sua falsità, il duro lavoro ed i sogni infranti, questo è ancora un mondo meraviglioso! Sii attento e fai di tutto per essere felice!"

Scritto nel 1927 dal poeta americano Max Ehrmann.

Quale fede è inferiore all’amore?

Nell'epistolario paolino, 1 Corinzi 13 è interamente costituito dal celeberrimo inno all’amore, in cui l'apostolo descrive la terza delle cosiddette virtù teologali come superiore ad ogni dono ed eccellente su ogni virtù, terminando con queste parole: “Ora queste tre cose durano: fede, speranza, amore, ma di esse la più grande è l’amore” – 1 Corinzi 13:13. Questo passo è il più citato per sottovalutare la fede a vantaggio dell'amore, che diviene così la causa primaria della nostra salvezza, complementare, se non addirittura alternativo, alla fede. Se per amore qui si intendesse quello di Dio, ovviamente il verso citato non verrebbe a creare alcuna difficoltà, essendo la carità divina la fonte naturale di ogni grazia, soprattutto di quella salvifica. Il contrasto con il Vangelo della giustificazione per la sola fede verrebbe però a crearsi se l’apostolo, scrivendo quelle parole, avesse inteso non l'amore di Dio per il mondo, ma quello del credente verso il prossimo. E poiché molti, sulla base dei primi versi del carme paolino, ritengono proprio questo, forse non a torto, sebbene penso che non sia del tutto improbabile un conclusivo accenno all’amore divino come esemplare, sorge il dilemma di come possa conciliarsi la superiorità dell’amore fraterno con la dottrina della salvezza senza opere. Può l’amore per il prossimo essere inoperoso? Dovendo rispondere di no, e non potendo escludere che si tratti proprio di quell'amore, dovremo ricercare una spiegazione e quale posto migliore per trovarne una, se non il contesto in cui l'inno fu scritto? Così vediamo innanzitutto che, nel capitolo che precede, come pure in quello che segue, Paolo sta discutendo dei doni spirituali – 1 Corinzi 12:1. Questi carismi possono essere di natura prodigiosa, come la profezia, le lingue o la guarigione, oppure ordinaria, come la capacità di evangelizzare o di insegnare. Sopra tutti questi doni, sta l’amore: 1 Corinzi 12:31; 14:1. Ora Paolo ricorda ai Corinzi che un credente non riceve tutti i doni, ma solo uno o alcuni: 1 Corinzi 12:28-30. Tra questi, Paolo elenca anche la fede – 1 Corinzi 12:9. La parola greca che sottende a 1 Corinzi 12:9 e a 13:13 è sempre la stessa - p…stij [pistis] - e il contesto dei tre capitoli, vertendo sui carismi, ci obbliga a ritenere che l’apostolo stia parlando in entrambi i casi della stessa cosa: un carisma di pochi. A uno infatti è data, per mezzo dello Spirito, parola di sapienza; a un altro, secondo il medesimo Spirito, parola di conoscenza; a un altro fede, dal medesimo Spirito – 1 Corinzi 12:8s. Se si ritiene che qui, come nel contestuale inno all’amore, si debba intendere la salvifica fede evangelica, se ne dovrebbe dedurne che non ogni credente possiede questa fede. Tuttavia come potrebbe uno credere senza la fede? Poiché la fede che rende credenti e salvi non può essere appannaggio di pochi nella Chiesa, dobbiamo esser persuasi che la fede di 1 Corinzi 12:9 e 13:13 debba intendersi necessariamente in altro modo. Il fatto che nelle Scritture la p…stij [pistis] non possieda sempre lo stesso significato è chiaro, oltre che da quanto appena detto, anche da Romani 3:3, dove si parla della p…stij [pistis] di Dio. E’ ovvio che Dio non possiede fede in se stesso, essendo la fede “certezza di cose che si sperano e dimostrazione di cose che non si vedono” - Ebrei 11:1, perciò tutte le versioni rendono quel p…stij [pistis] con fedeltà, parola ragionevolmente adeguata al contesto. Anche in Galati 5:22 lo stesso termine greco viene reso in alcune versioni – Nuova Riveduta e C.E.I. - allo stesso modo. Ritengo si debba tradurlo in questa maniera anche in 1 Timoteo 6:11 e 2 Timoteo 2:22, dato che certamente il giovane presbitero possedeva già la vera fede, da non doverla più ricercare: ciò che gli era utile perseguire era la fedeltà, insieme all’amore. Questi riferimenti ci sono utili per comprendere che p…stij [pistis] non indica giocoforza la fede che salva e che pertanto, anche in 1 Corinzi 13:13, può e deve intendersi in altra maniera, altrimenti contraddicendo l’intero insegnamento paolino. Tuttavia è possibile che lì e in 1 Corinzi 12:9 non si tratti di fedeltà, dato che p…stij [pistis] può identificarsi anche con l’insegnamento cristiano - 1 Timoteo 5:8; 6:13 - oppure, come in buona parte dei racconti evangelici, con la profonda fiducia nella potenza di Dio - Matteo 8:10p. Questo sentimento infatti, non certamente la fede salvifica, la dottrina o la fedeltà, Gesù intende incoraggiare nell’esporre il suo insegnamento sulla fede che sposta le montagne: Marco 11:22-24. Questa fiducia gli apostoli chiedono di avere aumentata: Luca 17:5s. Essa, capace anche di prodigi, avvantaggia chi la possiede nel raggiungimento della fede nel Vangelo – Matteo 8:10s – tuttavia non si identifica ipso facto con quella fede, dato che si può credere nella potenza del Signore e compiere miracoli, eppure non essere salvati: Matteo 7:22s. Perciò Gesù ammonisce: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede in me” – Giovanni 14:1 – così accostando e nondimeno distinguendo le due fedi. Ora, nell’inno dell’amore, la fede di cui si parla sembra essere proprio questa: “Se avessi tutta la fede in modo da spostare le montagne, ma non avessi l’amore, sarei un nulla” – 1 corinzi 13:2. Questa dunque la fede inferiore all’amore, questo il carisma dello Spirito Santo per pochi! La Scrittura non si contraddice: “la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede”, non da amore a fede o da fede in carità, “perché il giusto per fede vivrà!” – Romani 1:17. Sola fide: Galati 2:16.
Lo stesso discorso deve ora farsi per la speranza: vi è una speranza che si identifica con la fede ed è a salvezza – 1 Giovanni 3:3 – e un’altra speranza, che invece è la virtù che le afflizioni cristiane producono, mediante la pazienza e l’esperienza: Romani 5:3s. E’ chiaro che questa seconda speranza non può identificarsi con la fede, dato che ovviamente segue e mai precede le persecuzioni per il Vangelo. Proprio questa virtù è la speranza di 1 Corinzi 13:13, virtù superiore a ogni dono, ma inferiore all’amore. Questa lettura di 1 Corinzi 13:13 è sostenuta anche dal fatto che, immediatamente prima, l’apostolo aveva scritto che l’amore “tutto crede e tutto spera” – v.7. Qui il riferimento, come si deduce anche dal resto del verso, non è ovviamente al Vangelo, non potendo la fede e la speranza evangeliche derivare dal nostro amore, essendo l’iniziativa esclusiva di Dio: “Noi amiamo perché Dio ci ha amati per primo” – 1 Giovanni 4:19; cfr. Romani 5:10; Efesini 2:8. Infine, il supposto parallelismo tra 1 Corinzi 13:13 e 1 Tessalonicesi 1:3 e 5:8, dove l’amore è accostato alla fede e alla speranza a salvezza, ritengo si debba considerare molto dubbio. In Paolo ricorrono numerosissime volte parole quali fede, grazia, pazienza, gioia, pace, speranza, amore, ecc. associate tra loro in vario modo. L’accostamento dell’amore con la fede e la speranza nella prima epistola ai Tessalonicesi potrebbe non avere alcuna relazione con la triade dell’inno all’amore. Tanto più che in 1 Tessalonicesi 1:3 sembra si parli non dell'amore per il prossimo, ma di quello verso Dio: nel greco, “il Signore nostro Gesù Cristo”, in genitivo e senza preposizioni, è chiaramente l’oggetto sia della fede, che dell’amore e della speranza. Di conseguenza lo stesso potrebbe darsi per 5:8. L'amore per il Signore, e solo quello, al pari della fede in Lui, è imprescindibile dalla salvezza: Se qualcuno non ama il Signore sia anatema!” – 1 Corinzi 16:22. Invero anche l'amore per il Signore può essere operoso, tuttavia Paolo lo intende coerentemente solo come moto interiore, al pari della fede: infatti in Romani 13:8-10 l'apostolo indicherà come adempimento di ogni comandamento l'amore per il prossimo, ma non l'amore verso Dio. Già Gesù aveva detto la stessa cosa: Matteo 7:12. Vero è che il discepolo prediletto scriverà: "Se uno dice: Io amo Dio, ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che vede, non può amare Dio che non vede" - 1 Giovanni 4:20, ma successivamente vedremo la ragione di questo avviso. Ribadisco dunque che Paolo, l'apostolo di Dio per le nazioni, non si contraddice: la fede nel suo Vangelo è superiore a qualunque dono o virtù teologale, inferiore soltanto all'amore di Colui che ce l'ha donata. Infatti, se qualcuno non vorrà in alcun modo accettare un differente significato per la parola fede, allora con coerenza non dovrà accettarlo per la parola amore. Ora nelle Scritture abbiamo, come già per la fede – Ebrei 11:1, la definizione dell’amore: “In questo è l'amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati” – 1 Giovanni 4:10. Se dunque in 1 Corinzi 13:13 la fede sarà la stessa che salva, l’amore sarà lo stesso descritto da Giovanni: l’amore che Dio ha per noi e che fu manifestato sulla croce. Non le nostre opere, ma l’Opera di Dio in Cristo. Questo amore certamente precede la fede e supera ogni speranza: “Noi abbiamo conosciuto l'amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto. Dio è amore! – 1 Giovanni 4:16.

Stai dunque attento a come le Scritture ti vengono citate, memore del fatto che anche Satana ne abusò per tentare il Figlio di Dio: Matteo 4:6p. Non permettere che ti venga menzionato un verso fuori dal suo contesto o al di là dello scopo per cui è stato scritto. Così, anche in 1 Giovanni 3:14s abbiamo un esempio di Scrittura spesso citata a sproposito, poiché anche qui sembrerebbe insegnato che l’amore superi la fede. Invero buona parte della lettera pare consolidare questa interpretazione, e potremmo essere ingannati, se non fosse che l’apostolo ha già posto una premessa all’inizio del suo breve scritto: “Vi scrivo queste cose affinché non pecchiate” – 1 Giovanni 2:1. Ecco dunque lo scopo: limitare il peccato! Si noti la differenza con la conclusione del suo Vangelo: Queste cose sono state scritte, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e affinché, credendo, abbiate la vita nel suo Nome – Giovanni 20:31. Qui dunque uno scopo fondamentale: “affinché abbiate la vita”. Come? Credendo. Lì uno scopo pastorale: “affinché non pecchiate”. Come? Amando. E perché l’apostolo prediletto sia ancora più certo che, nonostante le sue minacce, il credente non dubiti della propria salvezza, immediatamente aggiunge alla premessa una promessa: “Ma se qualcuno pecca, noi abbiamo un Avvocato davanti al Padre: Gesù Cristo il Giusto. Egli è il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” – 1 Giovanni 2:1s. In questo senso squisitamente pastorale si dovrà pertanto interpretare anche quel passo citato prima: Se uno dice: Io amo Dio, ma odia il proprio fratello, è bugiardo; chi non ama infatti il proprio fratello che vede, come può amare Dio che non vede?” – 1 Giovanni 4:20. Ecco perché, a prescindere dal risultato dei suoi ammonimenti, in conclusione alla sua breve epistola scriverà: “Vi ho scritto queste cose perché sappiate che avete la vita eterna, voi che credete nel Nome del Figlio di Dio” – 1 Giovanni 5:13 !

1 Tessalonicesi 5:9s [seconda parte]

Torniamo ora a 1 Tessalonicesi 5:9s. Questo passo è di una così confortante certezza, che lo stesso apostolo lo propone per una consolazione vicendevole: v. 11. Tuttavia sarebbe stato strano se Satana non avesse tentato nulla contro un passo di così dolci e sicure speranze, egli che è “l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusa notte e giorno dinanzi al nostro Dio” – Apocalisse 12:10. Infatti, al contrario del Signore Gesù, la cui missione principe è quella di difendere i suoi dalle accuse, giuste che siano non importa – cfr. Romani 8:33s; 1 Giovanni 2:1, la prima prerogativa del Diavolo, il cui significato etimologico è calunniatore, si sappia, non è quella di tentare, bensì di accusare i giustificati del Signore, per indurli alla disperazione di Giuda. Così, proprio lo stesso spirito che abitò nell’Iscariota ha spinto coloro che, approfittando dell’ignoranza di molti fedeli riguardo alla lingua greca, hanno proposto una malfidata interpretazione di questo passo, togliendo ad esso ogni valore di grazia e di certezza per la salvezza dell’anima. Costoro sostengono che il vegliare ed il dormire di questa Scrittura significhino il vivere ed il morire del corpo, così che la consolazione che questo passo apporterebbe sarebbe derivata dalla speranza cristiana dell’aldilà. In altre parole, l’apostolo avrebbe qui insegnato che, vivi o morti, le nostre anime sono con il Signore. Soprattutto questa interpretazione è stata adottata dai papisti sedicenti Cattolici, da sempre in maggioranza nemici della salvifica dottrina della giustificazione per grazia. Infatti, nella nota in calce a 1 Tessalonicesi 5:10, della Nuovissima Versione dai Testi originali, Ed. Paoline 1991, così si legge: “Sia che vegliamo, sia che ci addormentiamo significano: sia che viviamo, sia che siamo morti. Si esprime qui la certezza fondamentale dell’esistenza cristiana: quella cioè di partecipare alla vita di Cristo sia nel tempo dell’esistenza terrena, sia dopo la morte”. Dello stesso parere è La Bibbia di Gerusalemme, pure papista. A sostegno di questa interpretazione viene utilizzata la stessa lettera, in 4:13ss, dove è annunciata la speranza della resurrezione per i fedeli “che si sono addormentati”, ossia i santi morti. Dunque Paolo, in 5:10, avrebbe semplicemente ripreso il concetto di sonno, quale metafora della morte, espresso già nel capitolo precedente. Anche altrove invero, nel Nuovo Testamento, la morte è presentata con la stessa metafora, cosicché ci vedremmo quasi costretti ad accettare l’interpretazione testé proposta, se non vi fossero a toglierle forza quattro argomenti, di cui gli ultimi due, i più stringenti, ma nascosti allo sguardo del comune lettore, sono da sé soli sufficienti a far crollare la diabolica impalcatura, costruita ad arte contro la retta spiegazione di questo passo.

Il primo colpo demolitore è dato dal contesto: Paolo non sta discutendo della vita e della morte, ma del peccato e della vigilanza, pertanto, nel passo in questione, esordisce con queste parole: “Dio infatti non ci ha destinati a ira, ma ad ottenere salvezza”. Una frase del genere avrebbe poca pertinenza con quanto segue, se a seguire fosse una dichiarazione di sopravvivenza dell’anima. Al contrario, vi si ravvisa una perfetta attinenza se, a completare il discorso, sono intese la sonnolenza e la veglia spirituali, rispettivamente causa d’ira e di salvezza nella visione meritocratica della Legge.

Il secondo colpo è dato dall’evidenza che la vita dell’anima nell’aldilà non viene mai posta da Paolo come “la certezza fondamentale della fede cristiana”. Sebbene altrove l’apostolo insegni la sopravvivenza dell’anima – 2 Corinzi 5:1-10 – questa sempre cede il posto alla speranza della resurrezione. Così, quando nella stessa lettera ai Tessalonicesi scrive della sorte dei fedeli defunti, cercando parole di consolazione per coloro che sono nel lutto, non accenna affatto alla dottrina della sopravvivenza. E’ dunque improbabile che Paolo, dimentico dell’anima in 4:13ss, dove la pertinenza era assoluta, se ne ricordi in 5:10, quando l’argomento è ormai del tutto nuovo ed estraneo. D’altronde la sua mira è quella “non già di essere spogliati [del corpo], ma di essere rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita”– 2 Corinzi 5:4.

Quanto è stato detto finora destabilizza certamente la cattiva interpretazione, tuttavia non le inferisce un colpo risolutivo. Sarà necessario volgere lo sguardo al testo originale per dare al busillis una soluzione certa e definitiva. Se si esclude la terribile Traduzione Interconfessionale, LDC-ABU, in cui il pensiero dei traduttori ha avuto il sopravvento su quello di Dio, tutte le versioni del Nuovo Testamento in italiano rendono il nostro passo in maniera assolutamente ineccepibile, pur tutte traendo il lettore in un inganno involontario. Mi riferisco ad uno dei verbi in questione: dormire. Abbiamo già detto come, nelle epistole di Paolo, questo verbo si riferisca il più delle volte alla morte del corpo. In questo senso viene pure usato altrove nelle Scritture greche. Eppure noi sosteniamo che in 1 Tessalonicesi 5:10 non possa assolutamente assumere questo significato. Perché? Nella lingua greca in cui gli autori neotestamentari scrivevano, i verbi utilizzati per indicare la conseguenza del sonno erano almeno due: koim£w [koimao] e kaqeÚdw [katheudo]. Ora solo il primo, esclusivamente koim£w [koimao], fu utilizzato da Paolo e dagli altri scrittori neotestamentari quale eufemismo per morire! Invece il secondo, lo stesso che ritroviamo coniugato in 1 Tessalonicesi 5:10, non assunse mai per costoro un tale significato, se non in relazione alla sola morte spirituale: Efesini 5:14. Vediamolo insieme. Ecco i diciotto passi del Nuovo Testamento in cui compaiono forme del verbo koim£w [koimao]: Matteo 27:52; Matteo 28:13; Luca 22:45; Giovanni 11:11; Giovanni 11:12; Atti 7:60; Atti 12:6; Atti 13:36; 1 Corinzi 7:39; 1 Corinzi 11:30; 1 Corinzi 15:6; 1 Corinzi 15:18; 1 Corinzi 15:20; 1 Corinzi 15:51; 1 Tessalonicesi 4:13; 1 Tessalonicesi 4:14; 1 Tessalonicesi 4:15; 2 Pietro 3:4. I passi sottolineati sono quelli in cui koim£w [koimao] ha il significato di morire. Si noti come Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, usi dormire come metafora della morte fisica per ben sei volte, coniugando sempre koim£w [koimao] e mai kaqeÚdw [katheudo]. Persino al quarto capitolo della lettera ai Tessalonicesi in argomento, utilizza lo stesso eufemismo per ben tre volte consecutive, ma sempre e solo coniugando koim£w [koimao]. Come può dunque essere ammissibile che solo in 1 Tessalonicesi 5:10 coniughi kaqeÚdw [katheudo] per indicare la morte fisica? Ecco ora i venti passi e le ventidue volte in cui forme del verbo kaqeÚdw [katheudo] compaiono nel Nuovo Testamento: Matteo 8:24; Matteo 9:24; Matteo 13:25; Matteo 25:5; Matteo 26:40; Matteo 26:43; Matteo 26:45; Marco 4:27; Marco 4:38; Marco 5:39; Marco 13:36; Marco 14:37 = due volte; Marco 14:40; Marco 14:41; Luca 8:52; Luca 22:46; Efesini 5:14; 1 Tessalonicesi 5:6; 1 Tessalonicesi 5:7 = due volte; 1 Tessalonicesi 5:10. Si noti bene che nel passaggio che precede immediatamente il passo in discussione, passaggio in cui è trattato l’argomento del sonno morale, Paolo usa per ben tre volte in due passi consecutivi le coniugazioni di kaqeÚdw [katheudo]. Persino un bambino, con tali evidenze, giungerebbe alla conclusione che in 1 Tessalonicesi 5:10 Paolo utilizza il congiuntivo di kaqeÚdw [katheudo] per riferirsi non al dormire della morte fisica del capitolo precedente, in cui ha usato un verbo differente, ma al dormire spirituale di cui ha appena discusso e in cui ha usato lo stesso verbo! D'altronde, non senza motivo il Signore ha ammonito dicendo: “In verità vi dico che chiunque non avrà ricevuto il Regno di Dio come un bambino, non vi entrerà affatto!” – Marco 10:15. Infatti, il pregiudizio contro la retta interpretazione di questo passo è talmente forte che persino nel celeberrimo Vocabolario Greco-Italiano di L. Rocci, alla voce kaqeÚdw [katheudo], il Nuovo Testamento si trova citato quale fonte per il significato di morire. Vero è che in Matteo 9:24p la bimba era realmente morta, ma il suo rapido risveglio poneva il suo decesso in una condizione tale da potersi assimilare al sonno naturale: non è infatti lo stesso Signore a distinguere e contrapporre quell’indicativo di kaqeÚdw [katheudo] alla morte fisica, dicendo: “Non è morta, ma dorme [katheudei]”?

Rimane ora da considerare l’ultimo elemento: quello della veglia. Il verbo grhgoršw [gregoreo], il cui congiuntivo del nostro passo è tradotto “vegliamo”, mai sta a significare, in tutto il Nuovo Testamento, l’azione di vivere. Persino Paolo, in 1 Tessalonicesi 4:15.17, nonostante abbia appena definito i morti come “coloro che si sono addormentati”, non lo utilizza per indicare i viventi, chiamati semplicemente zîntej [zontes]. Anche il Rocci, op. cit., non contempla tale significato per alcuna opera. Come è possibile allora che, in tutta la letteratura greca, solo il passo in questione abbia per grhgoršw [gregoreo] il significato di esser vivi, nonostante questo stesso verbo venga usato immediatamente prima – 1 Tessalonicesi 5:6 - per indicare la veglia spirituale? E’ meraviglioso osservare quanta accortezza lo Spirito Santo ha posto nella scelta di tali verbi, perché fossero facilmente e immediatamente compresi dai suoi cari figli di Tessalonica e da noi, che ricerchiamo con attenta solerzia la sua Parola.

Ti è chiaro dunque, amico o amica, l’inganno del Calunniatore e dei suoi ministri? E ti è chiara, cosa ancor più importante e necessaria, la Buona Notizia che nessun vizio e nessuna colpa, per quanto gravi e resistenti, potranno mai separarti dal tenero amore di Dio, se credi in Colui che Egli ha dato per la nostra salvezza?

“Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me.

Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l'uomo interiore,

ma vedo un'altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra.

Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?

Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore.

Così dunque, io con la mente servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato.

Non c'è dunque più nessuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù!”

Romani 7:21ss.8:1

1 Tessalonicesi 5:9s [prima parte]

Queste breve passo riassume con estrema chiarezza la Buona Notizia cristiana. Trovandosi nel testo più antico del Nuovo Testamento, queste due righe dell'epistolario paolino costituiscono la prova più evidente che la Parola che andiamo annunciando non fu il frutto di una lenta elaborazione del messaggio evangelico, ma l’immediata e definitiva rivelazione del Signore per la Chiesa delle nazioni, tramite Paolo, l’apostolo delle genti. Così vi si legge: “Dio infatti non ci ha destinati a ira, ma ad ottenere salvezza per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, il quale è morto per noi affinché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui”. L’importanza assoluta che questo passo riveste nella dottrina della grazia risulterà evidente solo tenendo conto del contesto in cui è inserito. Nelle righe immediatamente precedenti, si legge: “Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno abbia a sorprendervi come un ladro; perché voi tutti siete figli di luce e figli del giorno; noi non siamo della notte né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vegliamo e siamo sobri; poiché quelli che dormono, dormono di notte, e quelli che si ubriacano, lo fanno di notte. Ma noi, che siamo del giorno, siamo sobri, avendo rivestito la corazza della fede e dell'amore e preso per elmo la speranza della salvezza - vv.4-8. E’ chiaro che l’apostolo sta invitando i cristiani a non dormire nelle tenebre, in quel sonno del peccato che può sorprendere persino gli eletti di Dio, ma piuttosto a restar svegli, secondo il consiglio che era stato già di Gesù: “Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione, perché lo spirito è pronto, ma la carne è debole” – Matteo 26:41. A questo punto potremmo aspettarci, come altrove – Luca 21:36 - una qualsiasi minaccia per i dormienti, invece ciò che segue è una rassicurante promessa che il destino di tutti i credenti non è ad ira, ma a salvezza, sia che vegliamo alla luce di una sana condotta, sia che dormiamo nelle tenebre della colpa. Un tale annuncio è quanto meno sconvolgente per coloro che sono abituati ad un cristianesimo meritocratico, fondato sulla legge di Dio e non piuttosto sulla sua grazia. Per quanto ciò possa scandalizzare, noi non possiamo non testimoniare che, qualunque siano stati e siano ancora i tuoi peccati, anche i più terribili, se credi in Colui che in croce li ha pagati per te, sei salvato! D’altronde rifletti: se Gesù fosse venuto a predicare una religione nel solco della tradizione ebraica dei comandamenti, perché avrebbe dovuto allertare il suo pubblico dicendo: “Beato colui che non si scandalizzerà di me!” – Matteo 11:6p ? Un riformatore dei costumi può dare fastidio, ma di certo non può scandalizzare. A cosa, dunque, si riferiva il Signore? Quando furono dette queste parole? Sia in Matteo che in Luca, esse seguono la frase “E il Vangelo è annunciato ai poveri” – Matteo 11:5p. Chi possiede dunque questa povertà, che in Matteo 5:3 si spiega essere di natura spirituale? Leggiamo la seguente parabola: “Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo. Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: O Dio, abbi pietà di me, peccatore! Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché chiunque s'innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato - Luca 18:10-14. Chi è il povero in spirito della parabola? Di sicuro il pubblicano. Egli possiede la povertà di meriti di fronte a Dio e ne è consapevole. Cosa fa? Entra nel tempio per compiere un rito o per fare buoni propositi o per inaugurare la sua conversione? Nulla di tutto ciò! Lo ripetiamo: nulla di tutto ciò! Soltanto chiede umilmente perdono, sa di essere in debito e chiede pietà! E il Signore che fa? Annuncia la sua giustificazione! Gloria a Dio! Quell’uomo è giustificato solo per aver chiesto perdono: ecco lo scandalo del Vangelo dei poveri. A dispetto di tutto il suo impegno, il fariseo sarà condannato, poiché crede che Dio baratti il suo Regno in cambio di sacrifici e meriti umani, al contrario l'umile fede del pubblicano nella misericordia di Dio aprirà al peccatore le porte del Cielo! “Ora andate e imparate cosa significhi: Misericordia voglio e non sacrificio! Perché Io non sono venuto a chiamare i giusti, bensì i peccatori” – Matteo 9:13. La differenza tra il fariseo ed il pubblicano consistette essenzialmente nel fatto che il primo reputò Dio l'Altissimo suo debitore, mentre il secondo lo stimò saggiamente suo creditore. Alla domanda della Scrittura: "Chi ha dato a Dio qualcosa per primo così da doverne ricevere il contraccambio?" – Romani 11:35, il fariseo rispose "io" e fu perduto, ma tu cosa rispondi ora?
E’ vero, ci duole dirlo, che non poche comunità evangeliche pongono, tra le condizioni per essere salvati, quella di rinunciare alla pratica dei propri peccati. Se così fosse, chi sarebbe salvato? Chi si accosta a Cristo sa di essere peccatore per nascita e per censo, come può allora presentare a Dio un cuore talmente libero dal male da esser così spavaldamente pronto a rinunciare al peccato - cfr. Romani 7:14ss - per di più ancor prima di essere rinato?! Cosa fece il pubblicano? Il Signore non dice che egli tentò di mutare vita, né altre parole mette sulla sua bocca, se non queste: “O Dio, abbi pietà di me peccatore!”. Altre comunità, meno arroganti, pongono la condizione della rinuncia alla pratica del male per il solo battesimo in acqua. Ma cosa dice la Scrittura? Alla domanda dell’eunuco: “Ecco dell'acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?”
– Atti 8:36 – Filippo non fa richieste morali, ma, stando al versetto seguente, risponde: Se tu credi con tutto il cuore, è possibile”. Se poi non si accetta il v. 37, poiché manca nei più antichi manoscritti del Nuovo Testamento, la cosa è ancora più semplice: la sola richiesta dell’eunuco convince Filippo a fermare il carro e a scendere nell’acqua per battezzarlo – v. 38 ! La stessa semplicità risulta da altri passi della Scrittura: persino Simon mago, che era “pieno d’amarezza ed in fiele d’iniquità” – Atti 8:23 - fu battezzato solo per aver creduto: Atti 8:13. Vero è che Pietro, il giorno di Pentecoste, aveva detto: “Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel Nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati” – Atti 2:38. Ma di cosa dovevano ravvedersi i suoi uditori? Immediatamente prima, Pietro aveva loro predicato con queste parole: Uomini d'Israele, ascoltate queste parole! Gesù il Nazareno […] quest'uomo, quando vi fu dato nelle mani per il determinato consiglio e la prescienza di Dio, voi, per mano di iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste” – Atti 2:22s. Era dunque di questo omicidio che dovevano ravvedersi, riconoscendo in quell’uomo non più un bestemmiatore, bensì il Figlio di Dio, non più un peccatore, ma “il giusto per gli ingiusti, per ricondurci a Dio” – 1 Pietro 3:18. Questo ravvedimento, per quei Giudei, si identificava con la confessione di fede cristiana, così che ad esso l’apostolo lega non solo il battesimo, ma la salvezza stessa, ossia la remissione dei loro peccati. Anche altrove il ravvedimento è posto come condizione per il perdono dei peccati –Luca 24:47 - e ciò perché le parole greche rese ravvedimento e ravvedersi, oppure pentimento e pentirsi, sono rispettivamente met£noia [metanoia] e metanošw [metanoeo], ed entrambe stanno ad indicare quel mutamento di opinione necessario all’accettazione del Vangelo. Esse si riferiscono esclusivamente ad un’attività del pensiero, non al comportamento; per questo il Battista deve ammonire dicendo: “Fate frutti degni del ravvedimento” – Luca 3:8. Diversamente, la conversione di vita, che deve far seguito alla salvezza e tuttavia non la influenza, nelle Scritture greche è resa da ™pistršfw [epistrefo], un verbo che esprime l’idea di un’inversione di marcia - cfr. Luca 22:32. A volte però, nel Nuovo Testamento, questo cambiamento di direzione si riferisce ad un mutamento non della condotta morale, ma della visione religiosa, a favore del cristianesimo - 1 Tessalonicesi 1:9; 2 Corinzi 3:16: ovviamente, in questo caso, anche la conversione diviene, similmente al ravvedimento, pregiudiziale alla giustificazione – Atti 3:19. Pertanto, da quanto precede, è chiaro che di nulla dovrà accertarsi il ministrante del battesimo, se non del fatto che il battezzando abbia ben compreso “il lieto messaggio di Gesù” – Atti 8:35 – per scongiurare il rischio che abbia "creduto invano": cfr. 1 Corinzi 15:1s. Dopodichè, il neobattezzato potrà continuare il suo cammino come l’eunuco, “in tutta allegrezza” – Atti 8:39 – avendo creduto in “Gesù, che ci libera dall’ira futura - 1 Tessalonicesi 1:10. Per sempre!

Simbolo Niceno

Crediamo in un solo Dio, Padre Onnipotente, creatore di tutte le cose visibili ed invisibili.
Ed in un solo Signore, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, generato dal Padre, unigenito, cioè dall'Essere del Padre, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, dello stesso Essere del Padre, mediante il quale sono state fatte tutte le cose, quelle nel cielo e quelle nella terra. Per noi uomini e per la nostra salvezza Egli discese e si fece carne, si fece uomo, patì e il terzo giorno risuscitò e salì nei cieli, verrà per giudicare i vivi e i morti.
E nello Spirito Santo.

Ma coloro che dicono: "C'era un tempo in cui [Gesù] non esisteva", e "prima che fosse generato non esisteva" e che nacque da ciò che non esisteva, o dichiarano il Figlio di Dio esistere da un'altra persona o essere, oppure mutabile o alterabile, hanno l'anatema dalla Chiesa Universale e Apostolica.

Nell'originale greco [325 d.C.]:

Πιστεύομεν εἰς ἕνα Θεὸν Πατέρα παντοκράτορα, πάντων ὁρατῶν τε και ἀοράτων ποιητήν.
Καὶ εἰς ἕνα κύριον Ἰησοῦν Χριστόν, τὸν υἱὸν τοῦ θεοῦ, γεννηθέντα ἐκ τοῦ Πατρὸς μονογενῆ, τουτέστιν ἐκ τῆς ουσίας τοῦ Πατρός, θεὸν εκ θεοῦ, φῶς ἐκ φωτός, Θεὸν ἀληθινὸν ἐκ Θεοῦ ἀληθινοῦ, γεννηθέντα οὐ ποιηθέντα, ὁμοούσιον τῳ πατρί, δι' οὗ τὰ πάντα ἐγένετο, τά τε ἐν τῷ οὐρανῷ καὶ τά ἐν τῇ γῆ. Tὸν δι' ἡμᾶς τοὺς ἀνθρώπους καὶ διὰ τὴν ἡμετέραν σωτηρίαν κατελθόντα καὶ σαρκωθέντα, ενανθρωπήσαντα, παθόντα, καὶ ἀναστάντα τῇ τριτῇ ἡμέρᾳ, καὶ ἀνελθόντα εἰς τοὺς οὐρανούς, ἐρχόμενον κρῖναι ζῶντας καὶ νεκρούς.
Καὶ εἰς τὸ Ἅγιον Πνεῦμα.

Τοὺς δὲ λέγοντας· ἦν ποτε ὅτε οὐκ ἦν, καὶ πρὶν γεννηθῆναι οὐκ ἦν, καὶ ὅτι ἐξ οὐκ ὄντων ἐγένετο, ἢ ἐξ ἑτέρας ὑποστάσεως ἢ οὐσίας φάσκοντας εἶναι, ἢ κτιστόν, ἢ τρεπτὸν ἢ ἀλλοιωτὸν τὸν υἱὸν τοῦ θεοῦ, ἀναθεματίζει ἡ καθολικὴ καὶ ἀποστολικὴ ἐκκλησία.

La fede della Chiesa Universale

La Santa Chiesa Universale ritiene fermamente e senza cambiamenti la “fede che è stata trasmessa una volta per sempre ai santi” - Giuda 3. Qual è questa fede immutata?
La fede cristiana, essendo radicata nella persona di Gesù Cristo, l’Iddio che veramente nacque, visse e morì in mezzo agli uomini per la nostra salvezza, ha le sue basi nella storia, le sue vette nella teologia, il suo scopo nella soteriologia. La pienezza di questa fede è stata predicata dall’apostolo Paolo alle genti di ogni nazione, perciò il suo Vangelo, annunciato soprattutto nelle sue tredici epistole, resta l’irremovibile fondamento della Chiesa Cristiana.
Non formulato in maniera scolastica, ma piuttosto come un gioioso e insistente messaggio, questo Vangelo parla dell’uomo Gesù e della sua Divinità, presentandoLo agli eletti come l’unica via di salvezza. Non si propone lo scopo di sviluppare un’etica cristiana, ancor meno di promuovere una nuova religione. I riti, limitati a due, ed il comportamento sono posti a corollario di una sostanza salvifica, la grazia di Dio, cui però nulla aggiungono.
Il messaggio è offerto in maniera chiara, corredato di riferimenti scritturistici ed esempi di vita pratica, non necessita dunque di alcuna autorità interpretativa, neppure l’apostolica e la profetica, che anzi gli sono vincolate: cfr. Galati 2:11.14. Non accetta contraddittori, essendo l’immediata rivelazione di Dio - Galati 1:11s - proprietario di un valore assoluto, essendo il Vangelo su cui Dio fonderà il giudizio del mondo: Romani 2:16. Infine la sua accoglienza non è vincolata allo stato morale o intellettuale dell’uditore, essendo preordinata prima di ogni tempo e di ogni azione dalla sovrana volontà di Dio: Romani 9:10-24; cfr. Atti 13:48.
Il Vangelo dell’apostolo Paolo consta di tre soli punti fondamentali:
I. Gesù è l’unico Signore e Dio: Padre e Figlio e Spirito Santo - Parte teologica.
II. Gesù è veramente nato Figlio di Dio da una vergine, è veramente vissuto uomo tra gli uomini senza commettere peccato, è veramente morto in croce e disceso all’inferno, è veramente risorto dai morti e salito al Cielo - Parte storica.
III. Gesù, il Figlio di Dio, con la sua morte di maledizione, ha liberato la sua Chiesa dalla dannazione eterna e dalla Legge e, risorgendo da morte, è divenuto il suo vivente capo e l’unico mediatore tra essa e Dio. La fede in questo Vangelo è sufficiente e necessaria per essere parte di questa Chiesa ed ereditare il Regno di Dio, quando Gesù tornerà nella gloria - Parte soteriologica.
Al di fuori di queste tre proposizioni, esposte già nelle Scritture e nell'immutabile Simbolo Niceno, i Cristiani Universali non sono costretti a credere altro e possono credere ciò che vogliono. Invero molte comunità cristiane vantano una fede più estesa, allargata a tutti i contenuti della Sacra Scrittura, anche minimi. Tuttavia è bene notare che la salvezza non è legata alla credenza in un Libro, sebbene ispirato, ma alla fede nella Persona vivente di Gesù Cristo, cui le Scritture sono soltanto accessorie: 2 Timoteo 3:15. Al di là di questa funzione propedeutica, esse sono si utili - 2 Timoteo 3:16 - ma non più necessarie. Porre la fede nelle Scritture come vincolante e distintiva per la Chiesa al pari della fede in Gesù secondo le Scritture, è una disciplina ecclesiastica non priva di pericolo e a rischio di idolatria. Il discernimento delle comunità cristiane non deve basarsi sull’eventuale pedissequa riverenza per la Bibbia, ma sul pubblico annuncio di Gesù, perché “lo spirito che non riconosce pubblicamente Gesù non è da Dio, ma è lo spirito dell’anticristo” - 1 Giovanni 4:3. Infatti “Egli ci ha resi idonei ad esseri ministri di un nuovo patto, non di lettera, ma di Spirito, poiché la lettera uccide, lo Spirito dà la vita” - 2 Corinzi 3:6. Si pone dunque fuori della Chiesa di Dio chiunque neghi fiducia al Vangelo di Paolo, in qualsiasi pagina delle Scritture contenuto - cfr. Giovanni 20:31 - ma non chi la neghi, seppure pericolosamente, ai contenuti minori delle Scritture, che anzi sono esse stesse sottoposte al confronto con quel Vangelo, poiché qualunque opinione in ambito teologico, storico e soteriologico che contrasti con le proposizioni di cui sopra, si veda il caso della lettera di Giacomo, pone chiunque in una situazione di anatema, secondo le parole dello stesso apostolo:
“Se anche noi stessi o un angelo dal Cielo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato,
sia anatema!
Come abbiamo già detto, lo ripeto anche adesso:
Se qualcuno vi annunziasse un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema!"
Galati 1:8s

Il segno della salvezza

Come puoi sapere di essere salvato? Semplicemente dal fatto di dire pubblicamente il tuo Amen al Vangelo di Paolo. La confessione della tua fede è l’unico segno che ti conferma di essere una pecora dell’ovile di Cristo: Matteo 10:32-33p; 1 Corinzi 12:3; 2 Corinzi 4:13. Non hai bisogno di cercare ulteriori conferme, quali una vita santa o addirittura un atteggiamento più religioso: 2 Timoteo 2:13. La conversione dalle opere del mondo è cosa positiva, ma non è da confondere con la salvezza. Pietro aveva creduto ed aveva parlato - Matteo 16:16 - perciò era salvato - Romani 10:8-10 - eppure aveva ancora bisogno di conversione - Luca 22:28-32 - poiché giunse a rinnegare Cristo per vigliaccheria: Matteo 26:69-75p. Ancora molto tempo dopo “era da condannare”: Galati 2:11. Ugualmente i Corinzi, cui Paolo rivolge le sue due lettere, erano ancora carnali - 1 Corinzi 3:1-4 - essendo invischiati nelle contese, nelle liti e le ingiustizie - 1:11 e 6:1.8s - nella fornicazione e nella superbia - 5:1s - nell’incontinenza della carne - 7:9 - nell’ ubriachezza e l’empietà - 11:20s.27-32. Eppure l’apostolo non teme per questo di chiamarli fratelli - 1:10.26 etc. - e di scrivere loro queste parole: “Io ringrazio sempre il mio Dio per voi, per la grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù” - 1:4 - e ancora: “Voi siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel Nome del Signore Gesù Cristo, mediante lo Spirito del nostro Dio” - 6:11. Infatti l’uomo cui Dio misericordioso ha affidato il Vangelo della grazia sa che i peccati dei suoi diletti fratelli di Corinto non potranno mai separarli da Cristo, perciò può scrivere loro: “Egli vi renderà saldi fino alla fine, perché siate irreprensibili nel giorno del Signore Gesù Cristo. Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo nostro Signore” - 1:8s. Dunque FEDELE E’ DIO, non tu, che continuerai ad essere un peccatore bisognoso di perdono. Allora a te saranno rivolte queste parole: “Se qualcuno pecca, noi abbiamo un avvocato davanti al Padre: Gesù Cristo il giusto. Egli è il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” - 1 Giovanni 2:1s. Non ascoltare dunque coloro che insinuano dubbi nel tuo cuore credente portandovi la disperazione, piuttosto rallegrati e fai salti di gioia: Gesù ti ha salvato! “Così anche Davide proclama la felicità dell’uomo al quale Dio mette in conto la giustizia senza opere, dicendo: Felici coloro le cui iniquità sono perdonate e i cui peccati sono coperti. Felice l’uomo al quale il Signore non addebita affatto il peccato!” - Romani 4:6-8. Forse già conosci la parabola del seminatore, altrimenti la puoi leggere in Luca 8:5-8. Or questo è il significato della parabola: il seme è la parola di Dio. Quelli lungo la strada sono coloro che ascoltano, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dal loro cuore, affinché non credano e non siano salvati. Quelli sulla roccia sono coloro i quali, quando ascoltano la parola, la ricevono con gioia; ma costoro non hanno radice, credono in tempo propizio e, quando arriva la prova, si tirano indietro. Quello che è caduto tra le spine sono coloro che ascoltano, ma se ne vanno e restano soffocati dalle preoccupazioni, dalle ricchezze e dai piaceri della vita, e non arrivano a maturità. E quello che è caduto in un buon terreno sono coloro i quali, dopo aver udito la parola, la ritengono in un cuore onesto e buono, e portano frutto con perseveranza - Luca 8:11-15. Forse sarai portato a pensare che gli unici salvati siano quelli del buon terreno, ma, obiettivamente, chi il Vangelo dice che non saranno salvati? Sono solo i primi, i non credenti! Perché i secondi “si tirano indietro”, come fece Pietro, e i terzi “non arrivano a maturità”, come i fratelli di Corinto, eppure, al pari di questi e quello, hanno creduto e perciò sono salvati! “Chi crede in Lui non è giudicato, chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel Nome dell’unigenito Figlio di Dio” - Giovanni 3:18.


La vera fede è per sempre,

anche se a volte sembra venire meno, come accadde a Pietro.

Ma la vera fede è una scelta decisa,

che non puoi ereditare dai tuoi genitori credenti,

è una scelta pensata,

che non può seguire l’onda emotiva di una liturgia commovente,

è una scelta coinvolgente

e non una via tentata “semmai ci fosse qualcosa dopo”,

è una scelta obbligata del cuore

e non la voglia di provare qualcosa di nuovo,

è una scelta personale,

che non dipende dal gruppo di amici o dal Paese in cui vivi,

è una scelta divina,

che non può perseguire interessi terreni.

La vera fede è la scelta con cui scoprirai che

tu sei l'eterna scelta di Dio!

Il Vangelo di Paolo [quarta parte]

Da quanto hai letto precedentemente riguardo alla Chiesa la risposta dovrebbe esserti già chiara: se possiedi la fede in Cristo Gesù sei parte del suo Corpo, e il suo Corpo non potrà mai essere mutilato. Potrai avere sbandamenti, potrai essere trascinato nel fango del peccato, o addirittura nell’angoscia del dubbio, ma se una volta hai scelto di credere in Gesù, scientemente e senza condizionamenti, Egli veglia su di te, perché tu non vada mai perduto! Prendiamo l’esempio dell’apostolo Pietro: confessò la sua fede - Matteo 16:16 - manifestando così di essere un predestinato dal Padre - Matteo 16:17 - ma successivamente venne chiamato Satana dal Signore - Matteo 16:23 - rinnegò Gesù - Matteo 26:69ss - e, diversamente dal discepolo prediletto, tardò a credere alla Resurrezione - Giovanni 20:6-9. Perdette forse la sua elezione a salvezza, rischiando così di finire dannato? Assolutamente no! Gesù stava pregando per lui, affinché fosse conservata la sua fede: Luca 22:31s. Glielo aveva promesso, poco prima di predirgli il suo rinnegamento. Tu che hai creduto sei nelle mani di un Signore potente e accorto, che ha assicurato: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono; ed io do loro la vita eterna e non periranno mai e nessuno le rapirà dalla mia mano” - Giovanni 10:28. Ma forse dubiti che un giorno potresti trasformarti da pecora in capro e perdere il diritto alla promessa. Ma è possibile una simile trasformazione? A coloro che rifiutavano di credere, Gesù disse: “Voi non credete perché non siete delle mie pecore” - Giovanni 10:26. Nota che Gesù non disse, come in genere siamo abituati a pensare, che essi non erano delle sue pecore perché non credevano, ma esattamente il contrario. L’essere pecora precede e non segue la fede, perché è una qualità indipendente dalla scelta dell’uomo. Di conseguenza, niente che tu possa fare o non fare potrà trasformati da pecora in capro o viceversa, solo Dio potrebbe farlo, ma Lui non lo farà, “perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili” - Romani 11:29. Infatti “chi Gli ha dato qualcosa per primo così da riceverne il contraccambio? Perché da Lui, per mezzo di Lui e per Lui sono tutte le cose. A Lui sia la gloria in eterno. Amen” - Romani 11:35s. La salvezza è per fede ed è “Gesù colui che crea la fede e la rende perfetta” - Ebrei 12:2 - non tu! Per questo Paolo poteva scrivere ai Filippesi: “Ho questa fiducia: che Colui che ha cominciato un’opera buona in voi, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” - 1:6. Forse l’apostolo aveva fiducia nella bontà dei membri della Chiesa di Filippi? O piuttosto in Dio? “So in chi ho creduto" - avrebbe poi scritto al suo amico Timoteo - "e sono convinto che Egli ha il potere di custodire il mio deposito fino a quel giorno” - 1 Timoteo 1:12. L’uomo è volubile e scostante, ma “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno” - Ebrei 13:8. Abbi dunque piena fiducia che la tua salvezza è eterna, poiché è fondata esclusivamente sull’opera del Signore Gesù, Colui che “con un'unica offerta ha reso perfetti per sempre quelli che sono santificati” - Ebrei 10:14.

“Noi siamo più che vincitori,

in virtù di Colui che ci ha amati.

Infatti sono convinto che

né morte né vita,

né angeli né principati,

né cose presenti né cose future,

né potenze, né altezze, né profondità,

né alcun altra creatura

potranno separarci dall’amore di Dio

che è in Cristo Gesù nostro Signore!”

Romani 8:37ss

Non temere dunque i tuoi peccati passati, presenti e futuri, la morte, l’inferno e il diavolo. Tu che hai creduto rivolgiti a Cristo per riprendere fiducia e come il santo re Davide digli: “Ciò che tu benedici, SIGNORE, è benedetto per sempre” - 1 Cronache 17:27. Alleluia!

Il Vangelo di Paolo [terza parte]

Sicuramente sai già cos’è un ex-voto: è la messa in atto di una promessa fatta ad una divinità in seguito ad una grazia ricevuta come risposta a quella promessa. Sebbene popolarmente sia questo il significato religioso più diffuso per questa parola, nulla è più distante dal suo concetto biblico! Perché per l’apostolo Paolo grazia significa cosa gratuita, immeritata, non condizionata da propositi, promesse, azioni, riti o sacramenti. Perciò così si esprime: “Se è per grazia, non è più per opere, altrimenti la grazia non è più grazia!” - Romani 11:6. Ma è ovvio! Se aspetto che tu mi dia, mi faccia o mi prometta qualcosa prima di darti il mio amore, potrò ancora dire di amarti in maniera gratuita, incondizionata? Certamente no. Perciò il Nuovo Testamento ci presenta l’amore di Dio in maniera del tutto diversa: esso “non dipende da chi vuole o da chi corre, ma da Dio che fa misericordia!” - Romani 9:16. Cosa hai dato o promesso ai tuoi genitori in cambio della tua nascita e, se sei stato fortunato, del loro amore nell’infanzia? Come avresti potuto, se eri del tutto dipendente da loro? Ma se hai potuto ricevere qualcosa di interamente gratuito da esseri umani imperfetti, se hai potuto essere totalmente dipendente da essi, oseresti oggi pensare che l’Iddio perfetto si aspetti qualcosa in cambio da te?! Che le sue scelte sovrane dipendano da te e non tu da esse?! Sono i tuoi genitori più grandi di Dio?! Gesù una volta disse ai suoi discepoli: Se voi, dunque, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono! - Luca 11.13. Dio ha legato la salvezza alla fiducia nel suo amore gratuito, che si è manifestato nell’uomo Gesù. Non pensare di essere amato da Dio in ricompensa al tuo amore per Lui. E’ vero piuttosto il contrario: Noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo” - 1 Giovanni 4:19. Se dunque crederai che Gesù è l’Iddio che divenne uomo per morire e risorgere per la tua giustificazione, e avrai piena fiducia che ciò è sufficiente a salvarti, allora sarai salvato, senza dover più nulla aggiungere! E anche questa fede, espressione di una volontà ferma e non di facili sentimentalismi, se l’avrai, ti sarà stata donata da Dio, come è scritto: “E’ per grazia che siete stati salvati, mediante la fede, e ciò non viene da voi ma è il dono di Dio, non è in virtù di opere, affinché nessuno se ne possa vantare” - Efesini 2: 8-10. “Perciò l’eredità è per fede, affinché sia per grazia; in modo che la promessa sia sicura” - Romani 4:16. Esatto! La tua salvezza sarà sicura in virtù della promessa di Dio fondata sulla fede e non sulle tue opere incerte e il tuo meschino comportamento. Se sei stato eletto, non privarti ancora a lungo di questa benedizione divina di saper certa la tua salvezza mediante la fede e diventare un figlio di Dio, perché “ti è duro recalcitrare contro il pungolo” - Atti,26:14. Non entrare nel sentiero degli empi e non t'inoltrare per la via dei malvagi … La via degli empi è come il buio, essi non scorgono ciò che li farà cadere” - Proverbi 4:14.19. Perché, ancor più che i loro peccati che essi hanno in comune con noi, sarà proprio il loro tentativo di comprarsi l’amore di Dio, con la religione e le loro opere imperfette, a farli cadere. L’ultimo atto di superbia di una creatura malvagia e poi … l’inferno.
“Ma se Dio schernisce i superbi, fa grazia agli umili” - Proverbi 3:34. Umiliati dunque sotto la sua potente mano e riconosciti morto nei tuoi peccati e bisognoso della sua grazia. Fiducioso, digli così:

“Signore Gesù, unico Dio fatto uomo,

Tu sei morto in croce per subire la punizione dei miei peccati

e sei risorto per darmi vita eterna con Te.

Salvami dall’inferno che io assolutamente merito.

Solo Tu puoi farlo, perciò io credo solo in Te

e Ti accolgo come mio personale Salvatore.

Nel tuo Nome.

Amen”

Se hai pregato con queste parole di vero cuore SEI SALVATO! Ma lo sei per sempre?

Il Vangelo di Paolo [seconda parte]

Se la salvezza dovesse essere meritata, tutti sarebbero dannati. Questa verità è confermata da molti passi della Scrittura, che non mancherò di citare, ma, prima di farlo, vorrei invitarti a rifletterla con l’aiuto dell’esperienza. Quante volte, nella tua vita, hai violato la legge di Dio e la tua coscienza? Quante volte altre creature, umane e non, hanno sofferto a motivo della tua superficialità o del tuo egoismo? Quante volte hai mancato di ringraziare e lodare il tuo Creatore, di conoscere la sua persona e la sua volontà? Pensi forse che il fatto che tu non abbia ucciso o rapinato ti renda giusto? Rifletti su quante volte hai speso i tuoi soldi per cose futili o addirittura dannose, fregandotene di quel migliaio di bambini che in quell’ora di leggerezza moriva di fame! Quante volte hai acquistato oggetti made in China o Taiwan, insanguinati dalle mani di bimbi operai, o quei deliziosi frutti tropicali indorati da quei pesticidi che procurano insufficienze renali, cancro e cardiopatie ai contadini sottopagati dei Tropici! In cosa eri migliore di uno stupratore, quando accostavi la tua auto per avere i favori a pagamento di una schiava della prostituzione, o di un patricida, nel giorno che abbandonavi i tuoi genitori in un ospizio, o di un bestemmiatore, mentre facevi i tuoi affari in giorno di sabato? Quante volte ti sei lamentato dell’ingratitudine altrui, mentre non una volta hai piegato le tue ginocchia per ringraziare Dio della tua vista, o del tuo udito, o semplicemente del tuo pranzo? E quando non riflettevi che anche queste cose fossero peccato, non pensi che tu abbia disprezzato quel Dio che ti ha dato una testa per pensare e non per reggere gli occhi per ore davanti ad un televisore, un giornale o un sito pornografico? “Il SIGNORE ha guardato dal cielo i figli degli uomini, per vedere se c’è una persona intelligente, che ricerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti sono corrotti, non c’è nessuno che pratichi la bontà, neppure uno!” - Salmo 14:28. Pensi allora di poterti ingraziare Dio con un rito, un'offerta, una penitenza? Ma sai tu quanti riti, offerte e penitenze sono necessari per espiare tutti i tuoi peccati? Certamente no, infatti “chi può dire: ho purificato il mio cuore, sono puro dal mio peccato ?” - Proverbi 20:9. Così, se resterai in debito anche di un solo peccato, sarai dannato, perché Dio è troppo giusto per tollerare anche la minima parte delle tue colpe, Egli ha “occhi troppo puri per sopportare la vista del male” - Abacuc 1:13. Pensi allora di diventargli gradito con delle opere giuste? La Bibbia dice che “tutta la nostra giustizia è come un abito sporco” - Isaia 64:6. Perciò “non c’è nessun giusto, neppure uno!” - Romani 3:10. Forse ti è stato insegnato che Dio si accontenta di qualche sforzo, per poi mandarti semmai qualche tempo in purgatorio. Ma il purgatorio non esiste! La parola e il concetto non compaiono nelle Scritture, tra l’inferno e il paradiso c’è un abisso, non un altro luogo che sia una via di mezzo tra i due: Luca 16:26! Allora forse puoi affermare che rispetti i dieci comandamenti. Magari fosse! Ma seppure così è, non sarebbe di certo sufficiente. Per rendertene conto non è necessario che tu legga tutta la Bibbia, ti basta solo tenerla in mano: a che serve un libro di così tante pagine per una decina di precetti? E’ ovvio dunque che l’intera legge di Dio consiste in molti più comandamenti! E se non la rispetti tutta, dico TUTTA, otterrai solo la maledizione di Dio: “Infatti tutti quelli che si basano sulle opere della legge sono sotto maledizione; perché è scritto: Maledetto chiunque non si attiene a tutte le cose scritte nel libro della legge per metterle in pratica - Galati 3:10. E non aggiungere ai tuoi peccati l’empietà, pensando che Dio sia un Sovrano di poco rispetto, che chiuda un occhio sulle tue colpe, un Dio di cui si possa tener poco conto, perché “il Dio d’Abraamo, il Terrore d’Isacco” - Genesi 31:42 - “è terribile nella riunione dei santi e tremendo fra quanti lo circondano” - Salmo 89:7. E non dire che l’Iddio del Nuovo Testamento è differente: “Noi conosciamo infatti Colui che ha detto: A me appartiene la vendetta, io darò la retribuzione! […] E’ terribile cadere nelle mani del Dio vivente!” - Ebrei 10:30s. In altre parole, tu non hai alcuna possibilità di salvarti da te stesso. L’unica porta per il Cielo è la grazia di Dio. Ma cos’è la grazia?

Post più vecchi